lunedì 4 settembre 2017

Kent Haruf, scrittore americano, autore di una trilogia (Trilogia della pianura) molto ben vista dalla critica. L'ultimo suo romanzo, uscito postumo, si chiama Le nostre anime di notte e parla di una storia di due vedovi che abitano vicino e che decisono di farsi compagnia dopo una vita passata a non parlarsi. Tutti i suoi libri si ambientano in una cittadina, Holt, un luogo, con le sue anime perdute e semplici, che tutti avremmo voluto conoscere. Eccolo, il dono. Eccole, le cose belle che, passando da un cervello alla vita di altri, le rendono più piene, più ricche.
Il dono è inventare, spesso dal proprio dolore o dal proprio disagio, dei mondi, conosciuti i quali un umano si sente migliore o, almeno, più consapevole.
Si è detto che Haruf era un malinconico. Come fosse un insulto. Anche Leopardi non era un buontempone, ma senza la sua malinconia saremmo tutti più fessi. I personaggi di Haruf non hanno fretta, vivono gli avvenimenti e i pensieri assaporandoli, entrano in contatto con le grandi cose della vita: la nascita, l’amore, la morte con la naturalità e la complessità che segnano queste esperienze nel tempo di ciascuno di noi.
Haruf doveva essere una persona gentile, dunque un rivoluzionario. Lo immagino così, entrando nel mondo

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