martedì 31 dicembre 2013

Principi di base per il controllo delle masse

L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche.

1 – La strategia della distrazione. L’elemento principale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche utilizzando la tecnica del diluvio o dell’inondazione di distrazioni continue e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per evitare l’interesse del pubblico verso le conoscenze essenziali nel campo della scienza, dell’economia, della psicologia, della neurobiologia e della cibernetica. “Sviare l’attenzione del pubblico dai veri problemi sociali, tenerla imprigionata da temi senza vera importanza. Tenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza dargli tempo per pensare, sempre di ritorno verso la fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare il problema e poi offrire la soluzione. Questo metodo è anche chiamato “problema – reazione – soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico in modo che sia questa la ragione delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, oppure organizzare attentati sanguinosi per fare in modo che sia il pubblico a pretendere le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito delle libertà. Oppure: creare una crisi economica per far accettare come male necessario la diminuzione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. Questo è il modo in cui condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte negli anni ‘80 e ‘90: uno Stato al minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4 – La strategia del differire. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria” guadagnando in quel momento il consenso della gente per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro di quello immediato. Per prima cosa, perché lo sforzo non deve essere fatto immediatamente. Secondo, perché la gente, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. In questo modo si dà più tempo alla gente di abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo con rassegnazione quando arriverà il momento.

5 – Rivolgersi alla gente come a dei bambini. La maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, tanto più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se questa avesse 12 anni o meno, allora, a causa della suggestionabilità, questa probabilmente tenderà ad una risposta o ad una reazione priva di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione. Sfruttare l’emotività è una tecnica classica per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e, infine, del senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del tono emotivo permette di aprire la porta verso l’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o per indurre comportamenti.

7 – Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità. Far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza creata dall’ignoranza tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare da parte delle inferiori” (vedi “Armi silenziose per guerre tranquille”).

8 – Stimolare il pubblico ad essere favorevole alla mediocrità. Spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti.

9 – Rafforzare il senso di colpa. Far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile della proprie disgrazie a causa di insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In tal modo, anziché ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e si sente in colpa, cosa che crea a sua volta uno stato di repressione di cui uno degli effetti è l’inibizione ad agire. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca. Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno creato un crescente divario tra le conoscenze della gente e quelle di cui dispongono e che utilizzano le élites dominanti. Grazie alla biologia, alla neurobiologia e alla psicologia applicata, il “sistema” ha potuto fruire di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia fisicamente che psichicamente. Il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca sé stesso. Ciò comporta che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un più ampio controllo ed un maggior potere sulla gente, ben maggiore di quello che la gente esercita su sé stessa.

giovedì 19 dicembre 2013


"E' nella crisi che sorgono l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi, supera sé stesso senza essere superato"
Albert Einstein


venerdì 26 luglio 2013

Il conformismo come schizofrenia, Erich Fromm

 “....I normali sono i piu malati e i malati sono I piu’ sani. Questa affermazione che suona spiritosa oppure un po’ strana e’ da prendere molto sul serio. Questa non e’ una favoletta divertente. L’uomo malato mostra che in lui determinati fenomeni umani non sono ancora del tutto  repressi e quindi entrano in conflitto con i modelli culturali e attraverso cio’, attraverso questa frizione, producono sintomi. Il sintomo, esattamente come il dolore, e’ solo un segnale che qualcosa non va. Fortunato colui che ha un sintomo. Come fortunato colui che ha un dolore quando gli manca qualcosa.  Lo sappiamo bene che se l’uomo non provasse dolore si troverebbe in una situazione molto pericolosa. Ma moltissimi uomini, ossia i “normali”, sono cosi conformisti cha hanno abbandonato tutto cio’ che e’ loro piu’ proprio, sono cosi alienati, strumentalizzati, robotizzati, che gia non riescono a provare piu’ nessun conflitto. Cio’ significa che i loro veri sentimenti, il loro amore, il loro odio, tutto insomma, e’ cosi represso, cosi atrofizzato, che costituiscono gia’ il ritratto di una cronica, leggera schizofrenia. Il conformista e’ il prodotto riuscito di una societa’ che modella le energie psichiche degli uomini in modo che essi facciano volentieri quello che in realta’ devono fare.....”

venerdì 11 gennaio 2013

Imparare a perdere


Parlando con le gente, guardando la televisione, leggendo i giornali si resta stupefatto di fronte all’immagine del mondo che questa societa’ della comunicazione vuole imporci. Una comunicazione veloce, istantanea, che brucia idoli prima ancora di averli creati. Un’informazione che, per sua stessa natura inadatta a raccontare la normalita’, si concentra unicamente sugli stati d’eccezione, facendo apparire questo mondo come una caverna popolata da mostri oppure come una perenne festa alla quale pero’ non siamo stati invitati. Un progetto folle quello che questa societa’ dell’ultraindividualismo contemporaneo sta creando per tutti noi aspiranti borghesi sin dalla nostra nascita. Carriera, famiglia, figli, casa, una bella macchina. Una vita percorsa col pilota automatico, quasi sempre per gli altri, quasi mai per noi. Tappe ed obiettivi perseguiti senza saperne le ragioni, ambizioni effimere e regole di comportamento dettate da una societa’ che insegna che “per avere basta volere”, che nella vita l’importante e’ vincere. Una cultura dell’eccellenza che spinge l’individuo a credere che il proprio valore dipenda unicamente dai successi ottenuti e dal ricoscimento altrui. Una logica del tutto o niente, in cui non c’e’ posto per i perdenti. Un mondo in cui perdere, sbagliare o anche soltanto esitare sono eventi devastanti nella percezione che gli altri hanno sulle nostre capacita’, sulle nostre qualita’, su chi dovremmo essere e invece non siamo, oppure non siamo piu’. Una vita contrassegnata da certezze, agiatezza, superfluo eppure vissuta sempre sul filo del rasoio, lungo un fragile argine che separa il palcoscenico dorato sul quale indossiamo le maschere e interpretiamo i ruoli che la societa’ ci ha assegnato ed il terrificante baratro rappresentato dal fallimento, da una sconfitta anche solo percepita e, quindi, anche solo da un semplice errore o da una banale esitazione. Prigionieri di una logica distruttiva del tutto o niente, di un Tutto in cui c’e’ Tutto tranne l’essenziale per essere felici, ossia la semplice e banale evidenza che la vita puo’ anche essere qualcosa di diverso dalla corsa affannosa per essere sempre all’altezza delle aspettative altrui. La verita’ e’ che nella vita non si dovrebbe sempre e solo cercare di essere i migliori. Talvolta capita di esserlo. Altre volte semplicemente no. O almeno non in tutti gli ambiti. Perche’ le energie sono limitate, perche’ siamo essere umani. Perche’ non e’ vero che non ci sono limiti all’energia personale ed agli obiettivi che si possono raggiungere. Perche’ nella vita di tutti i giorni ostinarsi a fingere di non essere vulnerabili e’ una condanna terribile, una sofferenza atroce alla quale ci sottoponiamo volontariamente per realizzare cio’ che gli altri sognano per noi. Cosi’, proprio quando ci si prepara a raccoglire i frutti del proprio impegno si frana invece sotto il peso della disperazione. “Dietro il successo”, diceva il filosofo Georges Canguilhem, "si nasconde quasi sempre un fallimento esistenziale". Perche'tutto quello che si sarebbe voluto fare e che non si e' fatto perche' non c'era tempo, perche' qualcuno aspettava qualcosa, perche' il senso del dovere lo impediva, prima o poi ritorna in superficie in modo incontrollato ed incontrollabile, come un magma che spinge dalla profondita' di un vulcano. Perche', a forza di dover essere, talvolta e' proprio l'essere che soccombe. La verita’ e’ che nella vita bisogna innanzitutto imparare a perdere, prima che a vincere.