venerdì 11 gennaio 2013

Imparare a perdere


Parlando con le gente, guardando la televisione, leggendo i giornali si resta stupefatto di fronte all’immagine del mondo che questa societa’ della comunicazione vuole imporci. Una comunicazione veloce, istantanea, che brucia idoli prima ancora di averli creati. Un’informazione che, per sua stessa natura inadatta a raccontare la normalita’, si concentra unicamente sugli stati d’eccezione, facendo apparire questo mondo come una caverna popolata da mostri oppure come una perenne festa alla quale pero’ non siamo stati invitati. Un progetto folle quello che questa societa’ dell’ultraindividualismo contemporaneo sta creando per tutti noi aspiranti borghesi sin dalla nostra nascita. Carriera, famiglia, figli, casa, una bella macchina. Una vita percorsa col pilota automatico, quasi sempre per gli altri, quasi mai per noi. Tappe ed obiettivi perseguiti senza saperne le ragioni, ambizioni effimere e regole di comportamento dettate da una societa’ che insegna che “per avere basta volere”, che nella vita l’importante e’ vincere. Una cultura dell’eccellenza che spinge l’individuo a credere che il proprio valore dipenda unicamente dai successi ottenuti e dal ricoscimento altrui. Una logica del tutto o niente, in cui non c’e’ posto per i perdenti. Un mondo in cui perdere, sbagliare o anche soltanto esitare sono eventi devastanti nella percezione che gli altri hanno sulle nostre capacita’, sulle nostre qualita’, su chi dovremmo essere e invece non siamo, oppure non siamo piu’. Una vita contrassegnata da certezze, agiatezza, superfluo eppure vissuta sempre sul filo del rasoio, lungo un fragile argine che separa il palcoscenico dorato sul quale indossiamo le maschere e interpretiamo i ruoli che la societa’ ci ha assegnato ed il terrificante baratro rappresentato dal fallimento, da una sconfitta anche solo percepita e, quindi, anche solo da un semplice errore o da una banale esitazione. Prigionieri di una logica distruttiva del tutto o niente, di un Tutto in cui c’e’ Tutto tranne l’essenziale per essere felici, ossia la semplice e banale evidenza che la vita puo’ anche essere qualcosa di diverso dalla corsa affannosa per essere sempre all’altezza delle aspettative altrui. La verita’ e’ che nella vita non si dovrebbe sempre e solo cercare di essere i migliori. Talvolta capita di esserlo. Altre volte semplicemente no. O almeno non in tutti gli ambiti. Perche’ le energie sono limitate, perche’ siamo essere umani. Perche’ non e’ vero che non ci sono limiti all’energia personale ed agli obiettivi che si possono raggiungere. Perche’ nella vita di tutti i giorni ostinarsi a fingere di non essere vulnerabili e’ una condanna terribile, una sofferenza atroce alla quale ci sottoponiamo volontariamente per realizzare cio’ che gli altri sognano per noi. Cosi’, proprio quando ci si prepara a raccoglire i frutti del proprio impegno si frana invece sotto il peso della disperazione. “Dietro il successo”, diceva il filosofo Georges Canguilhem, "si nasconde quasi sempre un fallimento esistenziale". Perche'tutto quello che si sarebbe voluto fare e che non si e' fatto perche' non c'era tempo, perche' qualcuno aspettava qualcosa, perche' il senso del dovere lo impediva, prima o poi ritorna in superficie in modo incontrollato ed incontrollabile, come un magma che spinge dalla profondita' di un vulcano. Perche', a forza di dover essere, talvolta e' proprio l'essere che soccombe. La verita’ e’ che nella vita bisogna innanzitutto imparare a perdere, prima che a vincere.