Un cliente abituale
Viene dal medico settimanalmente per controllare la
pressione perché ha avuto degli episodi di lieve ipertensione nell'ultimo
periodo. Questa volta in particolare durante la notte ha avvertito dei dolori
al braccio sinistro e temuto l’“inizio di un infarto”.
La dottoressa lo visita: la pressione è nella norma e il
dolore al braccio appare dovuto a un’infiammazione della zona cervicale.
Filippo lamenta anche di avere fastidi allo stomaco subito dopo mangiato. Gli
viene prescritto un antinfiammatorio per il collo e un antiacido per lo
stomaco.
La presenza della psicologa permette però a Filippo di
esprimere un senso di agitazione e la ricerca di uno spazio all'interno del
quale raccontarsi. Gli propongo di provare a spiegarci meglio come si sente in
questo momento, dato che ho la sensazione che le risposte farmacologiche non
contengano più le sue richieste, forse non solo di “attenzione” ma di essere
aiutato a comprendere una situazione.
Filippo prende una gigantesca cartellina piena di analisi
e cartelle mediche e racconta di tre attacchi di ansia che ha sviluppato negli
ultimi tre mesi: in ognuna delle situazioni ha provato una palpitazione
violenta al cuore, una sensazione di soffocamento, il timore di perdere il
controllo, la paura di una malattia o di una catastrofe improvvisa.
Lavora alla reception di un albergo e sta per ricevere
una promozione lavorativa dalla quale spera di non fuggire come ha fatto in
passato. Inoltre, sta per sposare la fidanzata, che è affetta da artrite
reumatoide dall'età di quindici anni. Anche rispetto a questo è piuttosto
agitato. È molto legato alla sua famiglia di origine, però sente che il padre,
la madre e i due fratelli lo chiamano spesso solo per chiedergli di risolvere i
loro problemi.
Appare evidente una tendenza a evitare sistematicamente
gli eventi che lo preoccupano e soprattutto le emozioni che lo turbano,
rifugiandosi nell'idea di una nuova malattia da scoprire e sconfiggere con una
pillola o un comportamento “perfetto”. Filippo ha difficoltà a nominare le
proprie emozioni, a comunicarle all'altro e a vivere una propria identità
diversa da un ruolo salvifico all'interno delle relazioni. Gli propongo una
serie di incontri separati con me.
Facciamo in tutto otto colloqui. Negli ultimi incontri
Filippo mostra di aver capito che parlare può produrre un cambiamento reale e
che la capacità di pensare a quello che accade gli permette di gestire meglio
gli avvenimenti. “Se non parlo il mio
corpo lo fa al mio posto”, riconosce. Ha accettato la promozione al lavoro e si
è sposato, sentendosi abbastanza soddisfatto della propria decisione.
Filippo è un esempio di un soggetto apparentemente ben
funzionante, tranquillo, “ipernormale”: ha un lavoro, una fidanzata, non porta
al medico un disagio psichico esplicito. Difficilmente un medico lo avrebbe
inviato a uno psicologo, difficilmente vi sarebbe ricorso in prima persona. Di
fatto i rischi per la sua salute fisica erano piuttosto alti, avendo soltanto
il corpo come via di espressione del proprio disagio, date le sue
caratteristiche alessitimiche: difficoltà a identificare le emozioni;
difficoltà a comunicare le emozioni; pensiero orientato all’esterno; processi
immaginativi ridotti.
La presenza di una psicologa nello studio, senza la
necessità di cercarla, ha permesso a Filippo di affrontare tematiche diverse
dal disturbo fisico. Negli incontri, ha avuto l’occasione di elaborare una
serie di tematiche passate e presenti che hanno quindi trovato una via di
espressione mentale anziché somatica.
Si è ridotta la spesa per analisi cliniche e visite
specialistiche: Filippo ha smesso di andare settimanalmente dal medico per
chiedere analisi ed esami clinici come faceva da quattordici anni.
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